No ai sensi di colpa!
Caratteristica peculiare dei figli adolescenti è una sbalorditiva capacità di provocare i genitori con frasi talora pungenti, altre volte di un nichilismo sconcertante.
“Non mi capite”,“Voi non sapete niente di me”,“Non ve ne frega niente di me”, “Siete genitori deludenti” sono solo alcuni esempi di frasi che hanno il potere di infliggere, in tempo zero, una profonda ferita nel cuore di ogni genitore che senta pronunciare queste parole.
Naturalmente, benchè alcuni genitori inizino a pensare che i propri figli provino un intrinseco piacere nel ferirli gratuitamente (confessando tale idea con un sorriso scanzonato che tradisce un po’ di amarezza), sotto questi attacchi si cela molto di più. Si celano tentativi di ribellarsi, di scavalcare i limiti imposti, di oltrepassare quei confini ormai troppo familiari, perché è questa stessa trasgressione a fondare il senso d’identità degli adolescenti.
Ciò, tuttavia, non deve indurre i genitori a pensare che tali attacchi “fisiologici” siano da ignorare o trattare con leggerezza. Ogni manifestazione di rabbia o sconforto richiede un feedback da parte loro, una mossa di cui ciascun figlio ha grande bisogno per aggiungere un altro mattone all’edificazione della propria personalità.
La costruzione dell’identità è dunque un processo co-costruito, in cui grande è il lavoro che ogni adolescente porta avanti in autonomia con le sue esperienze fuori casa, ma che può essere più sano e armonioso se il tubinio di domande e conflitti trova spazio per muoversi e ricevere ascolto anche in famiglia.
Reggere gli attacchi e rispondervi in modo funzionale richiede solidità e sicuramente anche un po’ di esercizio, poiché la complessità del quotidiano ci vede impegnati in una continua lotta contro il tempo, sfida costantemente la nostra pazienza e mina la nostra tranquillità, abbassando le nostre difese.
Ma cosa succede, allora, se non si è abbastanza protetti, se il proprio scudo non è abbastanza solido da schivare gli attacchi sferrati dai propri figli arrabbiati?
Il grande rischio, in cui troppe volte incorrono i genitori, è sprofondare nel senso di colpa. Senso di colpa per non aver concesso qualcosa, dato un permesso, aiutato il figlio con lo studio o risolto un suo problema.
Ed ecco che il genitore è dilaniato dal senso di colpa. Diventa fragile. Risarcire il proprio figlio per non averlo capito abbastanza sembra essere a questo punto l’unica consolazione. Così inizia con apprensione a concedere tanto, ad essere permissivo, a giustificarlo…a fare più di quello che deve. Tutto ciò, nella speranza di veder stampato sul viso del proprio figlio un raggiante sorriso di felicità e soddisfazione.
Sfortunatamente, questa strategia non funzionerà. Il momentaneo, bellissimo sorriso si trasformerà presto in un nuovo malumore, in una nuova richiesta e in un nuovo attacco. Ma il genitore non molla, e mostra resistenza, provando ad alzare i toni ed imporre il suo volere. Disgraziatamente, anche il figlio alzerà il tiro, mostrando a sua volta un nuovo, sconcertante, livello di ferocia.
E’ dopo molteplici operazioni belliche che il genitore, debole e sconfortato, si ferma a riflettere, riconoscendo che quel piano così benevolo sta fallendo miseramente.
Si chiede come mai, nonostante tutti i suoi oggettivi sforzi, la sua grande comprensione e la sua sensibilità, il proprio figlio non solo non va avanti nelle sue piccole e grandi missioni quotidiane, ma non sembra neanche così contento.
Probabilmente bisogna chiedersi quanto si fa per il figlio. Quanto lo si stia guidando o piuttosto ci si stia sostituendo a lui.
Ebbene, forse sbilanciarsi troppo verso i bisogni dei figli, smuovere mari e monti per porger loro una soluzione su un piatto d’argento, cedere davanti a tutte le richieste, dare senza pretendere alcuno sforzo in cambio, non è la giusta forma di amore. Perchè se i genitori fanno di più, i figli faranno di meno. Se i genitori si accollano le responsabilità dei figli, questi ultimi, per conseguenza naturale, si deresponsabilizzeranno. Il meccanismo è elementare: se il genitore si comporta come se i doveri del figlio fossero i propri doveri, il figlio li vedrà come tali, cioè un problema del genitore. Maggiori sono gli sforzi affannosi del genitore per alleggerire dagli oneri o dalle emozioni negative il proprio figlio, maggiore sarà la delega che il figlio si sentirà in diritto di fargli.
Non è la direzione giusta. Come l’adolescente ha il diritto di chiedere una risposta al genitore, il genitore ha il diritto di chiedere una risposta al figlio. Di richiedergli un’assunzione di responsabilità.
Riprendendo gli esempi sopracitati, ecco alcuni tipi di risposte che invitano alla responsabilizzazione e proteggono dal senso di colpa:
F: “Non mi capite!”
G: “E’ vero, non ti stiamo capendo, ma non è una colpa. Dicci la tua posizione e parliamone.”
F: “Voi non sapete niente di me.”
G: “ Perché, tu conosci me? Sono il tuo tassista?/Sono la tua serva?/Sono un bancomat o un padre?”
F:“Non ve ne frega niente di me.”
G:“Non ci sembra. Ci diamo molto da fare per te. E tu? Di noi quanto te ne frega?”
Riprendendo un concetto già trattato nell’articolo “Insegnare la grinta”, un genitore credibile è un genitore che dice “se hai bisogno, siamo qui per te” ma anche “vai, tocca a te, prenditi le tue responsabilità, questo è un tuo dovere.”
L’iperprotettività tarpa le ali alla voglia, nonché necessità, dell’adolescente di sperimentare e sperimentarsi, di correre il rischio di sbagliare e subirne le conseguenze per imparare a vivere. Quanti genitori ripetono al proprio figlio lezioni importanti come “devi imparare a cadere per rialzarti più forte di prima” ma poi hanno troppa paura che lui cada davvero?
Fa male, è vero. Ma dopo fa più bene al cuore aiutarlo ad andare avanti, e notare che sa rialzarsi, ripulirsi le ginocchia e camminare più veloce di prima.
Lasciare ai figli lo spazio per vivere situazioni anche difficoltose e gestirsele in autonomia fa sì che essi possano svincolarsi ed emanciparsi con la giusta dose di forza, coraggio e allo stesso tempo di entusiasmo. Ogni genitore potrebbe provare a chiedersi se sta responsabilizzando davvero suo figlio, e confrontarsi con le proprie paure rispetto al vederlo in difficoltà.
Dopotutto, ci vuole coraggio per insegnare il coraggio.
Ci vuole coraggio ad essere genitori solidi, ma solo così è possibile “insegnare la libertà”.
Autore: Alessia Mancini
4 Comments
grazie interessante. Ma cosa dire quando i ragazzi ti insultano pesantemente dalla mattina alla sera?
Gentile Lucy, il fatto che i propri figli siano offensivi ed aggressivi è il chiaro segno che esiste un problema di rispetto dell’autorità genitoriale, e ciò ha delle motivazioni che necessitano un urgente ascolto. Quando il livello di conflittualità è alto, risulta più che mai indispensabile dare ascolto a queste motivazioni con l’aiuto di un professionista in un setting adeguato. Il mio consiglio è quello di rivolgersi ad uno psicologo per una consulenza familiare e valutare la possibilità di intraprendere una terapia familiare, il cui scopo è far emergere le criticità e capire quali sono i bisogni insoddisfatti che questi ragazzi esprimono attraverso la rabbia.
Tutto corretto e naturalmente è ben auspicabile una terapia famigliare; ma cosa fare quando un figlio maggiorenne non ne vuole sapere? Io sono arrivata alla drastica decisione, di vendere la casa, trovarmi due stanze tranquille, e che ognuno vada per la sua strada. figli ingrati, maleducati, ingiuriosi, di un’arroganza sconfinante, nei confronti di una madre, che pur non essendo perfetta, li ho sempre amati e cercato di dare loro le ali per volare, ora basta. per quanto mi riguarda, non provo più nulla se non disprezzo!
Cara Stefania mi piacerebbe parlarti in privato se ti va scrivimi
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