Il bisogno d’interazione

Il bisogno d’interazione

30-40 anni fa molti pensavano che un bambino di un anno o due non potesse avere un’interazione sociale…
L’esperimento di Edward Tronick chiamato “Still Face” ha dimostrato che i bambini così piccoli invece sono estremamente responsivi alle emozioni e alle occasioni d’interazione sociale offerte dal mondo in cui sono immersi. Sono estremamente attenti alla reattività di chi è intorno a loro, in primis della loro mamma.
Gli scambi di sguardi, sorrisi, parole, l’attenzione condivisa verso gli oggetti, sono esperienze in cui il bambino attraverso l’altro impara a coordinare le proprie emozioni ed intenzioni. Impara a relazionarsi.

Come funziona l’esperimento della Still Face?

Nell’esperimento è chiesto alla madre, dopo alcuni minuti di abituale gioco e scambio comunicativo, di assumere all’improvviso un’espressione apatica e impassibile, e di interrompere ogni interazione con il piccolo, per un paio di minuti.

La reazione del suo bambino di un anno è forte, chiara ed eloquente: cerca di attirare la sua attenzione in svariati modi, prima con espressioni e gesti, poi urla, scalpita, si sente sempre più a disagio e sperimenta uno stress sempre più forte, che non puó placarsi con gesti autoconsolatori. Smettendo di guardare la mamma e girando la testa, cerca di fuggire dalla paura terrificante che deriva dalla sua assenza e indifferenza. Alla fine, irrompe in un pianto denso di angoscia.
Subito è consolato dalla mamma, che torna a dargli attenzione e calore.

Cosa ci insegna l’esperimento di Tronick?

Questo esperimento mette in evidenza l’estremo bisogno d’interazione che
i bambini hanno, sin dalla nascita. Ciascun genitore è quindi chiamato a relazionarsi con il proprio figlio in modo frequente e ricco, ma soprattutto caldo. Un’interazione calda è una forma di comunicazione in cui vi è una particolare sensibilità ai messaggi dell’interlocutore, a cui si rimanda un pronto feedback.

L’insieme delle interazioni genitore-figlio, così come dovrebbe avvenire in ogni tipo di relazione, va pian piano a costruire un legame fatto di momenti di condivisione.

Questa dinamica, che si fa espressione di una sempre maggiore conoscenza reciproca e quindi intimità, può essere riassunta nel concetto di “sintonizzazione emotiva”.

Essere sintonizzati emotivamente con l’altro non vuol dire però essere sempre capaci di dare un feedback adeguato per l’altro (questo vale, ancora una volta, sia per la relazione genitore-figlio che per tutti gli altri tipi di relazioni).
Restando nell’ambito della genitorialità, nessuna mamma è capace di essere sempre presente al 100% , in ogni momento in cui il proprio figlio lo richiede. Nemmeno quella più devota!

La nostra attenzione, infatti, vira da un oggetto a un altro in base ai contesti e ai bisogni del momento, ed è impossibile evitarlo. Per tale ragione il canale comunicativo spesso viene interrotto.

L’interruzione del canale comunicativo, d’altronde, fa parte del processo di crescita sana di ogni figlio, che in questo modo impara a tollerare le prime piccole frustrazioni e i limiti propri e dell’altro. 

Tuttavia, se l’interruzione della connessione è perfettamente fisiologica, in una relazione sana lo è anche il suo ripristino.

Riparare una comunicazione interrotta è ciò che avviene regolarmente nella vita interpersonale!

Il problema è quando non c’è scampo, quando la mamma non riesce a comunicare mai davvero col figlio o a riparare la rottura delle varie comunicazioni, e vi sono difficoltà anche con il padre.

Provate a pensare a cosa accade nella vita di tutti i giorni di quei bambini che hanno madri in difficoltà, continuamente distratte da altri pensieri, madri inaccessibili a causa di uno stato depressivo o un altro grande malessere interiore. 


Se non è stato possibile trovare soluzione al fallimento comunicativo, che tipo di persona diventerà quel bambino?

Nel bambino di uno o entrambi i genitori “non sintonizzati” insorgono vissuti di solitudine e tristezza, nei quali si sente “non visto”. Ciò nonostante, un bambino non visto potrà comunque sentirsi amato, vivendo quella condizione come la sua normalità. Sappiamo bene, infatti, che l’istinto di sopravvivenza porta la psiche ad adattarsi a tutte le circostanze nei più svariati modi, pur di preservare un’integrità.

Nel corso della crescita quel bambino potrà sopperire alle carenze affettive con relazioni più calde e più piene all’interno della sua sfera sociale. Qualora ciò non avvenisse, potranno insorgere delle difficoltà nel momento in cui si troverà a costruire relazioni affettive ed intime.

Autore: Alessia Mancini

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