Nativi digitali, tra rischi e risorse

Nativi digitali, tra rischi e risorse

Sempre più acceso oggi è l’interesse dei genitori per una tematica che tocca da vicino la vita familiare: il rapporto dei propri figli con la tecnologia.

I bambini di oggi sono stati definiti “nativi digitali” (utilizzando un termine coniato da Mark Prensky nel 2001) in quanto, dalla nascita, vivono una quotidianità strettamente legata alle nuove tecnologie, in cui internet è utilizzato per fare quasi tutto. Già da piccolissimi, i bambini osservano i genitori mentre utilizzano il loro smartphone o tablet e, quando gli viene messo in mano per la prima volta, sanno già esattamente come utilizzarlo.

Gli adolescenti, poi, si sono presto abituati ad utilizzare continuamente i nuovi dispositivi e a “vivere connessi”. Tale consuetudine influisce sulle loro abitudini e la loro vita sociale.

I genitori contemporanei, rispetto a dieci anni fa, subiscono meno il digital divide e il senso di estraneità al mondo digitale (almeno per quanto riguarda Facebook e la chat di Whatsapp), ma nel vedere i propri figli così tanto coinvolti dall’uso di videogiochi o social network, continuano a chiedersi se ciò può avere ricadute negative sulla loro crescita.

I pareri degli esperti dimostrano quanto il tema sia controverso ponendo l’accento su aspetti sia critici che vantaggiosi del “vivere connessi”.

La maggior parte delle opinioni espresse può essere raggruppata in due prospettive teoriche: la teoria del disimpegno e la teoria della stimolazione. Conosciamole un po’…

Teoria del disimpegno

La tesi sostenuta da Paolo Crepet, psichiatra, sociologo ed educatore, ad esempio, rientra nella prima fazione. Crepet ritiene che la personalità di chi dall’infanzia è stato abituato ad avere lo sguardo sull’infinito, a guardare l’orizzonte, non può che essere molto diversa da quella di chi, fin da piccolissimo, ha avuto lo sguardo costantemente a 30 cm dallo schermo di un I-Pad. La sua domanda provocatoria è: “come fa un bambino a crescere cacciatore di orizzonti se il suo orizzonte è a meno dell distanza di un braccio?”.

C’è poi chi parla di “demenza tecnologica”, cioè l’intorpidimento delle nostre facoltà cognitive a causa del continuo delegare operazioni mentali al dispositivo.

E’ stato anche osservato che l’abitudine di passare rapidamente da una pagina web all’altra o scorrere compulsivamente la home di un Social Network compromette la capacità di mantenere lunghi tempi di attenzione e non lascia molto spazio all’attività mentale. Da un lato quindi è possibile fare tante operazioni senza alcuna fatica, ma dall’altro, secondo i sostenitori della teoria del disimpegno, questo ostacola la creatività!

Inoltre, alcuni studi sul tema hanno affermato che il rischio dei nativi digitali è diventare comunicatori più poveri, meno abili ed emotivamente meno alfabetizzati. Riferendosi ai giovani di oggi, infatti, alcuni parlano di “no look generation”, ossia una generazione di ragazzi che tendono a non guardare in faccia la gente perché sono chini sullo schermo di uno smartphone. Per questo motivo si è parlato anche di “look-down generation”, generazione dello sguardo basso.

Di sguardo basso ha parlato anche il giornalista e scrittore Michele Serra nel suo libro “Ognuno potrebbe” del 2015, definendola, con ironia, una sindrome che verosimilmente conduce ad una serie di sventurati eventi, quali incespicamenti e rovinose cadute.

Insomma, secondo i teorici del disimpegno, le nuove tecnologie distraggono la mente riducendone le potenzialità riflessive, creative e attentive.

Tuttavia, se i bambini adorano i videogiochi e i ragazzi amano i Social Network, è bene interrogarsi su quali siano le caratteristiche che li rendono così attraenti!

Teoria della stimolazione

Secondo i teorici della stimolazione, la finestra sul mondo chiamata Internet fornisce, insieme ai videogiochi, una grande quantità di input che attivano e alimentano le giovani menti.

Bambini: Un mondo dove “tutto è possibile”

Per quanto riguarda i videogiochi, essi utilizzano un linguaggio estremamente comprensibile ai più piccoli, anzi, è bene dire che parlano proprio la loro stessa lingua!

In primo luogo sono veloci, come l’attività neuronale dei bambini.
In secondo luogo, il videogioco parla per immagini, il mezzo attraverso il quale il bambino apprende più velocemente rispetto ad ogni altra modalità.

Inoltre, il videogioco è creato attorno al fare, costruire, collezionare punti e superare livelli, tutte cose fortemente bramate dai più piccoli. In questo superare livelli il bambino può sospendere l’ansiogena competizione con gli altri (in primis i fratelli) e competere con se stesso, sfidando le proprie capacità e raggiungendo obiettivi sempre più alti.

Nel quotidiano, l’impeto del fare è arginato dal genitore che, sempre più affannato dai ritmi serrati del proprio lavoro dentro e fuori casa, dice “no, aspetta, lo facciamo dopo”. Il videogioco, invece, è un mondo in cui per il bambino è possibile fare tantissime cose con facilità e immediatezza.

In altre parole, il videogioco diventa lo spazio in cui il bambino può esprimere tutta la sua energia e mettersi alla prova imparando per tentativi ed errori, laddove il tempo e lo spazio reali spesso non lo permettono.

Adolescenti: il bisogno di essere connessi…agli altri

Prendendo invece in considerazione il tempo che gli adolescenti passano in rete, tra YouTube, Whatsapp, sempre meno Facebook e sempre più Instagram, si tende a considerarlo smodato, ma oggi tutto sembra dirci che ormai dovremmo concepire il vivere connessi come la nuova normalità e non necessariamente una dipendenza. Per capire bisognerebbe chiedersi:

Che funzione ha per un ragazzo utilizzare i Social?

In un mondo considerato dai genitori sempre più pericoloso, per moltissimi adolescenti l’unico spazio consentito per socializzare è quello virtuale.

Come afferma Matteo Lancini nel suo libro “Adolescenti navigati: come sostenere la crescita dei nativi digitali” (2015), per gli adolescenti odierni niente più svaghi nei cortili, ginocchia sbucciate e risse per strada, oggi il sangue lo vedono solo nei videogiochi. Facebook ed Instagram sono i nuovi cortili e le nuove piazze in cui incontrarsi. Incontrarsi molto più di frequente, senza toccarsi.

Grande è la necessità di questo incontro. D’altra parte, in un’epoca in cui i coetanei esercitano un potere orientativo fortissimo per gli adolescenti, questi sentono il bisogno di essere in continuo contatto.

Grande è anche la curiosità di seguire i modelli di stile di vita che i vlogger e gli influencer propongono, stravolgendo i modelli degli adulti e attirando a sé milioni di seguaci semplicemente dando consigli sul make-up o l’abbigliamento, commentando videogiochi o ancora raccontando le loro giornate. Questo modo, almeno apparentemente spontaneo, di esprimere se stessi ha reso gli YouTuber i nuovi idoli, che hanno un notevole impatto sull’identità degli adolescenti!

Come porsi allora nei confronti delle nuove tecnologie?

Non si tratta di schierarsi pro o contro l’uso delle tecnologie. Siamo nell’era digitale, che i giovani le utilizzino sempre di più è inevitabile.

Dopo aver esplorato le criticità delle nuove abitudini digitali e averne compreso le motivazioni, resta da stabilire, per il genitore attuale, la direzione da seguire per educare i propri figli ad un uso equilibrato e consapevole delle nuove tecnologie.
Come infatti affermano molti psicologi, il problema non è l’utilizzo di Internet in sé, bensì quando viene a mancare un ponte tra vita reale e virtuale.

Di questo parlerò nel prossimo articolo.

Autore: Alessia Mancini

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